Categories

Cancro o Chemio: di cosa si muore?

chemioterapia

 

In Italia ormai ogni anno, a 363.300 persone viene diagnosticato il cancro, tra questi vengono esclusi i carcinomi della pelle.
Ogni anno in Italia oltre 170.000 persone non sopravvivono a questa malattia.
Questi numeri pero’, non vanno interpretati e tradotti come la percentuale di mortalità del cancro, perché ci sarebbe il rischio di venirne fuorviati. Se 360.000 persone scoprono di avere questa malattia e 170.000 muoiono non significa che il cancro ha una mortalità del 50% (170.000 su 360.000 = 47%), perché non è così: la mortalità è decisamente più alta!
Proprio per questo è importante precisare che la stragrande maggioranza di quei 360.000 tumori che ogni anno vengono diagnosticati non sono fulminanti ma sono ‘sovradiagnosi’, tumori del tutto innocui, che non vanno a creare nessun problema e nessun rischio per la vita della persona. Ma una volta scoperti – grazie agli screening – vengono catalogati come tumori e spesso curati come tali, facendo drasticamente lievitare le statistiche di incidenza da una parte, i danni e le morti dall’altra.

La statistica è a dir poco allarmante: nel corso di una vita media, circa 1 uomo su 2 e 1 donna su 3 sarà toccata dal cancro.
Ovvio che queste sono stime e sappiamo benissimo che con i numeri l’oncologia può affermare cio’ che desidera.

Con questo non si vuole dire che il cancro non sia un problema serio che coinvolge sempre più persone, ma è anche importante tenere in seria considerazione il fatto che la maggior parte dei tumori è sovradiagnosi.

Cos’è la sovradiagnosi?
Si tratta del pericolo più serio della diagnosi precoce, gli screening.
Consiste nel mettere in evidenza lesioni o tumori che non sarebbero mai evoluti nel corso della vita, ma sui quali, una volta individuati, si avrà l’obbligo di intervenire, questo soprattutto da parte del medico che manda avanti la medicina difensiva.
L’Industria farmaceutica ha gentilmente sviluppato tecnologie in grado di identificare le più piccole anomalie, ha poi modificato le soglie che definiscono la normalità e in seguito creato nuove malattie.
La maggioranza di queste anomalie scoperte in persone sane risulta inconsistente, cioè non darà mai sintomi o problemi nel corso dell’esistenza, ma una volta individuate? Cosa viene fatto?
La paura in questo caso porta a non ragionare, perché quest’ultima non lascia spazio per poter riflettere.

Le nuove tecnologie diagnostiche (TAC, risonanze, ecc.) e la risoluzione sempre più alta, creano molte potenziali sovradiagnosi e quindi molti interventi inutili, ma dannosi.
Fa riflettere la dichiarazione di un radiologo americano che dopo aver analizzato più di 10.000 pazienti ha dichiarato: “In realtà, con questo livello di dettaglio, non ho ancora esaminato un paziente normale”…
Qualsiasi radiologo che pratica la professione in onostà a livello intellettuale e morale e che sia libero può solo confermare questi dati..

Alcuni esempi concreti di sovradiagnosi
Il British Medical Journal il 9 luglio del 2009 pubblico’ una ricerca dal titolo: “Stimare la sovradiagnosi di tumori al seno negli screening”. Lo studio revisiono’ i dati di paesi come Inghilterra, Canada, Australia, Svezia e Norvegia e il risultato  fu un allarante 52%.
Questo vuol dire che 1 mammografia su 2 è sovradiagnosi! Un tumore su due NON andrebbe toccato in quanto innocuo e non pericoloso.

Il New England Journal of Medicine il 18 agosto del 2016 ha pubblicato uno studio sulla tiroide e in questo caso i dati sono ancora più preoccupanti: dal 50 al 90% dei tumori alla tiroide sono sovradiagnosi.
La quasi totalità dei tumori alla piccola ghiandola alla base del collo NON andrebbero curati.

per non parlare del tumore alla prostata che è senza dubbio il più sovradiagnosticato ed il trattamento ufficiale sta portando all’invalidità (impotenza e incontinenza) decine di milioni di uomini sanissimi.
La maggior parte dei tumori alla prostata diagnosticati grazie al PSA, il test più fallimentare della medicina, infatti, non causerebbe alcun tipo di problema se non venisse individuata.
Moltissimi degli uomini trattati starebbe benissimo se non venisse a conoscenza di quel cancro. Ad affermarlo è il prof. Richard Ablin, il medico che scoprì nel 1970 il PSA stesso. E se lo dice lui sarebbe opportuno fare una riflessione…

Ogni anno negli Stati Uniti a 240.000 uomini e 35.000 in Italia viene diagnosticato il cancro alla prostata.
Gli uomini hanno un rischio del 3% di morire di cancro alla prostata, il che significa che il 97% degli uomini avrà il test del PSA che probabilmente sarà causa di maggiori danni che benefici, assieme alle immancabili terapie successive alla diagnosi.
La lettura di questi dati è a dir poco inquietante: la sovradiagnosi nel cancro alla prostata mediante PSA è del 97%.

Alcuni uomini muoiono di cancro della prostata,
ma quasi tutti muoiono con il cancro alla prostata!

A questo punto viene naturale porsi delle domande: le persone stanno morendo a causa del cancro o a causa delle cure per debellarlo? Le persone a cui viene diagnosticato il cancro e seguono i protocolli guariscono oppure no? Cosa succede a tutte le persone sovradiagnosticate?
Per poter rispondere in modo esauriente a queste delicate domande è importante conoscere l’origine storica della chemioterapia.

Per prima cosa è basilare parlare della guerra chimica, la cui paternità va attribuita al chimico tedesco Fritz Haber.
Allo scoppio della Grande Guerra il dott. Haber dirige il prestigioso Kaiser Wilhelm Institute a Berlino e il suo laboratorio chimico ha un ruolo fondamentale nello sforzo bellico: sviluppa gas irritanti utili per stanare dalle trincee i soldati nemici.
Tra i vari gas studiati uno solo possiede per caratteristiche utili allo scopo: il cloro.
Questo gas dal colore gialloverde è estremamente tossico ed è caratterizzato da un odore soffocante che entra violentemente nelle vie respiratorie.

Il 22 aprile dell’anno 1915 l’esercito tedesco scarica oltre 146 tonnellate di gas di cloro (detto anche dicloro o diossido di cloro) a Ypres in Belgio: le truppe francesi, britanniche e canadesi prese di sorpresa cadono come mosche cercando di proteggersi le vie aeree con dei fazzoletti.
Fu la vittoria per i tedeschi, ma Fritz Haber pagherà a caro prezzo questo attacco perché, qualche giorno dopo aver usato il gas, sua moglie Clara Immerwahr, anche lei chimico, si uccide con un colpo di pistola al cuore usando l’arma di servizio del marito che per questi servizi era stato promosso al grado di capitano.

Gli Alleati dopo il primo attaccco, si sono dotati di maschere antigas per cui il cloro non rappresenta più un problema. Haber per ovviare il problema maschera mette a punto il fosgene, costituto da una miscela di dicloro e monossido di carbonio. Meno irritante per naso e gola del cloro, ma si rivela la più letale arma chimica preparata a Berlino, poiché attacca violentemente i polmoni riempiendoli di acido cloridrico.
Sul finire della guerra quando le vittime dei gas si contano a decine di migliaia Haber lancia la sua ultima scoperta il gas mostarda, detto anche iprite. Il nome deriva dalla località in cui è stato sperimentato: le trincee di Ypres in Belgio.

Gli effetti di questo gas sono deleteri: provoca vesciche sulla pelle, brucia la cornea causando cecità permanente e attacca il midollo osseo distruggendolo ed inducendo la leucemia.
Proprio da questa leucopenia (diminuzione dei linfociti nel sangue) nasce il concetto medico di chemioterapia.

Il 2 dicembre del 1943 il porto di Bari ospitava una quarantina di navi cariche di preziosi rifornimenti, tra di loro la nave americana John Harvey partita dal porto di Baltimora. La Harvey, a differenza delle altre navi, aveva le stive stracolme di bombe all’iprite. Oltre 100 tonnellate di iprite (gas tossico e vescicante) sotto forma di bombe della lunghezza 120 centimetri e del diametro di 20. La nave sarebbe stata scaricata il giorno seguente.
Alle 19,30 una squadriglia di aerei della tedesca Luftwaffe arrivo’ nel porto di Bari bombardando le navi.
La John Harvey fu colpita e prese fuoco. L’iprite mescolata alla nafta delle petroliere affondate formò un velo mortale su tutta la superficie del porto, mentre i suoi deleteri vapori si sparsero ovunque intossicando i polmoni dei sopravvissuti .
Il numero preciso di morti non si saprà mai, ufficialmente si parla di circa 1000 cittadini baresi uccisi.

Nel rapporto che seguì l’incidente vennero evidenziati dei dati interessanti: le persone colpite da iprite svilupparono una grave aplasia del tessuto linfoide e del midollo osseo. Il colonnello statunitense Steward Alexander nella sua relazione finale vide che dalle autopsie dei morti per iprite si notava una notevole soppressione dei linfomi e dei mielomi.
Questo diede ulteriore prova dell’ipotesi di Goodman sull’impiego di derivati dell’iprite.
I dottori Goodman, Gilman e Dougherty somministrarono ‘mostarda azotata’ (derivata dell’iprite) in sei pazienti affetti da linfoma maligno registrando un miglioramento iniziale delle condizioni cliniche e una riduzione delle lesioni neoplastiche. Non importava se questa terapia risultatava essere devastante sotto altri punti di vista: questo era quanto bastava perché venisse pubblicato nel settembre del 1946 uno studio di portata epocale sull’effetto dell’iprite sui linfomi. Tale studio venne pubblicato sulla rivista Science dal titolo: “Azioni biologiche e indicazioni terapeutiche delle beta-cloroetilamine e dei sulfidi”.

Tutto questo purtroppo per noi, porto’ all’utilizzo della chemioterapia che giunge fino ai nostri giorni.
Negli attuali bugiardini dei chemioterapici alla voce Categoria terapeutica viene riportato: “Analoghi della mostarda azotata”.
“Le mostarde azotate, come cita il Ministero della Salute alla voce Emergenze sanitarie – furono prodotte per la prima volta negli anni Venti come potenziali armi chimiche. Si tratta infatti di agenti vescicatori simili alle mostarde solforate.  Esse sono in grado di penetrare le cellule in modo rapido e causare danni al sistema immunitario e al midollo osseo”.



>

La chemioterapia è nata grazie ad un incidente di guerra ed è una vera e propria arma chimica!
Viene scritto nei bugiardini dalle stesse case farmaceutiche che li producono e lo conferma il Ministero della Salute.
L’utilizzo in guerra di tali armi chimiche è vietato da numerose convenzioni: Dichiarazione dell’Aja del 1899, Convenzione dell’Aja del 1907, Protocollo di Ginevra del 1925 e Convenzione di Parigi del 1993, ma nella battaglia contro il cancro non solo sono legittime ma sono anche le uniche riconosciute.
Oggi a tutti i malati di cancro viene iniettato un mix di sostanze chimiche vietate in guerra per la loro pericolosità dalla Convenzione di Ginevra.
Un individuo con il cancro a cui vengono iniettati nel sangue farmaci derivati dall’iprite e dalle mostarde azotate (vescicanti e distruttori midollari) ha possibilità di guarire?
La risposta è che alcune persone sopravvivono (non tanto al cancro ma alle cure ufficiali) e le testimonianze non mancano. Ma tali persone avevano un cancro fulminante? Rientravano invece nei soggetti con sovradiagnosi? E tutto questo a che costo?
Come sempre i pro e i contro vanno soppesati e valutati.
Il sistema vuole solo screditare mediaticamente tutte le persone che decidono di non usare il protocollo, ma evitano  di parlare delle centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno e che seguono le cure ufficiali. Come mai?

Sui pericoli e sull’inutilità della chemioterapia citotossica esistono alcuni studi magistrali.
Il 5 agosto del 2012 la rivista Nature ha pubblicato uno studio che evidenzia come la chemioterapia usata per il cancro alla prostata in realtà può andare stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita tumorale stessa rendendo immune il tumore a ulteriori trattamenti.
I ricercatori di tali studi hanno spiegato che i risultati “indicano che il danno nelle cellule benigne può direttamente contribuire a rafforzare la crescita cinetica del cancro”, e questo ha trovato conferma, oltre al tumore alla prostata, anche in quello al seno e alle ovaie.

Del dicembre 2004 la ricerca scientifica di Grame Morgan (professore associato di radiologia al Royal North Shore Hospital di Sidney), Robyn Ward (professore oncologo all’University of New South Wales), Michael Barton (radiologo e membro del Collaboration for Cancer Outcome Research and Evaluation del Liverpool Health Service di Sidney).
Lo studio dal titolo: “Il contributo della chemioterapia citotossica alla sopravvivenza a 5 anni dei tumori in adulti” viene pubblicato su una delle più prestigiose riviste di oncologia del mondo, Clinical Oncology.
La ricerca si è basata sulle analisi di tutti gli studi clinici randomizzati condotti in Australia e Stati Uniti nel periodo compreso tra gennaio 1990 e gennaio 2004.
L’analisi ha preso in causa 225.000 persone malate nei 22 tipi di tumori più diffusi e curate solo ed esclusivamente con la chemioterapia.
Quando i dati erano ancora incerti gli autori hanno deliberatamente stimato in eccesso i benefici della chemioterapia.

Nonostante queste accortezze la conclusione non lascia spazio a tante interpretazioni:

Sopravvivenza Australia > 2,3%

Sopravvivenza Stati Uniti > 2,1%

“Molti medici continuano a pensare ottimisticamente che la chemioterapia citotossica possa aumentare significativamente la sopravvivenza dal cancro”, scrivono nell’introduzione gli autori.
“In realtà – dichiara il professor Grame Morgan, malgrado l’uso di nuove e costosissime combinazioni di cocktails chimici non c’è stato alcun beneficio nell’uso di nuovi protocolli”.
Se la chemio citotossica contribuisce alla sopravvivenza a 5 anni per un misero 2% cosa è accaduto al rimanente 98% dei pazienti? E dopo 10 anni, ci sono dati?
Domande a cui non si potrà mai dare una risposta.

Un’altra importante ricerca è quella del dottor Ulrich Abel, epidemiologo tedesco della Heidelberg/Mannheim Tumor Clinic. Abel chiese a circa 350 centri medici sparsi in tutto il mondo l’invio di tutti gli studi ed esperimenti clinici sulla chemioterapia.
L’analisi ando’ avanti molti anni e alla fine il risultato fu la non disponibilità di riscontri scientifici in grado di dimostrare che la pratica della chemioterapia prolunghi la vita in modo apprezzabile.
Da oltre sessant’anni usiamo farmaci citotossici che non solo non funzionano, ma che inducono più problemi e danni della malattia stessa.

Cancro: il business intoccabile
Non serve andare oltre per comprendere che la chemioterapia da oltre 70 anni fa male alle persone, ma molto bene alle casse delle industrie che la producono.
Ecco qualche esempio di chemioterapico con prezzo in euro (Farmadati, 2013):

Ibritumomab (Schering), 1 fiala: 14.894 euro

Sunitinib (Pzifer), 30 compresse: 8.714 euro

Sorafenib (Bayer), 112 compresse: 5.305 euro

Erlotinib (Roche), 30 compresse: 3.239 euro

Pemetrexed (Eli Lilli), 1 fiala ev .: 2,265 euro

Topotecan (Glaxo), 5 fiale: 1.752 euro.

Questi veleni oltre ad essere i farmaci più tossici sono anche quelli che hanno il prezzo più alto nella storia della medicina e non si usano quasi mai singolarmente, perché gli oncologi preferiscono mescolarli e potenziarli per cui il costo e i danni lievitano in modo esponenziale.
Questa è una delle motivazioni per cui i protocolli non si devono toccare: sono il business per eccellenza.
Tutto il resto non ha importanza, anche la morte.

Per concludere:
Iniettare una sostanza citotossica, quindi velenosa e mortale per le cellule malate e sane, per il sistema immunitario, per il sangue, per la linfa, per il midollo osseo, per il cervello e quindi per la Vita stessa non può essere considerato un trattamento terapeutico, ma una vera e propria aggressione e guerra chimica.
Se fosse ancora in vita oggi il chimico Fritz Haber molto probabilmente farebbe la stessa fine della moglie: si sparerebbe un colpo in testa nel vedere le armi chimiche mortali, scoperte da lui in periodo di guerra, usate nei protocolli oncologici nella Grande Guerra contro il cancro.

T ratto dal nuovo libro di Marcello Pamio: “Il cancro SPA” edizione rivoluzione 2016
www.macrolibrarsi.it/libri/__cancro_spa.php

 

Fonte: https://www.disinformazione.it/Cancro_o_chemio.htm