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Multinazionali: dall’antichitá alla rivoluzione industriale

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Entità commerciali con l’organizzazione gerarchica, manodopera plurietnica, adozione di strategie e comportamenti tese alla conquista di risorse e mercati, erano già presenti nell’antichità.

Basti pensare nel 2.500 a.C. i mercanti sumeri, per vendere la loro merce preferivano trattenersi nei porti stranieri. A partire dal XIV secolo, emersero i proto-istituti di credito che favorivano il commercio internazionale attraverso una rete diffusa di corrispondenti attraverso l’Europa e che agivano affiancati al sistema delle fiere fin dal Medioevo, attraverso il quale nel vecchio continente passava l’interscambio.

Con la scoperta dell’America, la conquista di terre vergini, le grandi spedizioni di navigazione,  il commercio internazionale assunse nuova intensità e diverse caratteristiche. Nel Rinascimento furono inserite nuove figure di intermediari capaci di garantire la qualità di prodotti scambiati nella nuova economia globale e le compagnie commerciali (trading companies) presero un ruolo cruciale, principalmente la seta e le spezie.

Il più allegorico di queste fu la britannica East India Company. La Gran Bretagna, i Paesi Bassi e la Francia furono le nazioni con la più grande vocazione marittima e commerciale, infatti, furono all’avanguardia in questo campo ancor prima dell’impero coloniale.

Imprese e multinazionali di altro genere furono quelle che i mercati europei avviarono nell’America del Nord trasferendo membri della famiglia come corrispondenti e agenti per gestire il magazzino dei prodotti esportati nelle nuove colonie.



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Alla fine del XVIII secolo nacquero le prime banche multinazionali con l’arrivo dei banchieri svizzeri protestanti a Parigi, attratti dalla visione di gestire i prestiti pubblici francesi. Nel XIX secolo, i banchieri tedeschi ed ebrei fondarono banche d’affari con filiali a Parigi, Londra e altre piazze finanziarie.

Nella seconda metà del XIX secolo ci fù una forte accelerazione degli scambi di beni e servizi, ma anche della circolazione di capitali e persone, resa possibile da una situazione di ”finta pace” a livello internazionale.

Le imprese furono le protagoniste e la regia di questa prima fase di crescente globalizzazione, che raggiunse l’apice nel 1913, prima che il continente europeo entrasse in un periodo di conflitto trascinando anche il resto del mondo. Nonostante ciò le multinazionali rimasero concentrate nelle attività commerciali piuttosto che da quelle produttive, assumendo caratteristiche più simili a quelle odierne. Al fine di rimanere confinate all’attività di intermediazione commerciale, investendo in depositi per conservare la merce e nella produzione di commodiates (gomma, tè, petrolio, zucchero, nitriti, carbone) e in attività manifatturiere.

Nel frattempo, le trading companies allungavano credito a clienti e fornitori, finanziavano l’import-export, intermediavano valute e raffiguravano le compagnie britanniche di assicurazione, gestendo i rischi legati al commercio e anche le transazioni più complesse.

Le cifre testimoniano il ruolo fondamentale svolto da queste società. Nel 1917, F.W. Heilger aveva più di 100mila dipendenti in India, Jardine Matheson nel 1930 ne aveva 113mila in Cina, James Finlay’s ne aveva 160mila tra Kenya, India e Ceylon.

Questo tipo di società ha una particolarità distintiva, il fatto di non avere patrimoni attivi nel paese d’origine dei dirigenti, ma solo all’estero. Al fine di colmare il deficit di conoscenza dei mercati esteri prodotto da secoli di isolamento dell’esperienza britannica, nacquero in Giappone le sogo shosha.

Un secolo dopo, queste società erano responsabili di più dell’80% del commercio esterno nipponico.

Guardando oggi il commercio mondiale si capisce che tutto è stato strutturato molto tempo prima, non informandosi sull’origine ci si ritrova a non comprendere come tutto si è formato.