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Sandro Pertini: il lato oscuro del “Presidente buono”

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In una repubblica nata dagli intoccabili valori della resistenza è più che normale considerare uomo giusto, ammirevole ed eroico chiunque si sia dichiarato e schierato contro il governo mussoliniano.

In questo Paese l’antifascismo è quasi una condizione necessaria per un riconoscimento, per una sorta di attestato di stima.
Sandro Pertini, un vero e proprio “eroe della resistenza”, un santo in terra nell’Italia del secondo dopoguerra. E’ stato definito addirittura: “Il Presidente di tutti gli italiani”, “Il Presidente buono”.

Qui ci sono da rivedere un po’ di cose…  Non idolatriamo qualcuno che non ha avuto dei meriti particolari, se non l’astuzia di cavalcare la cresta dell’onda antifascista.
Chi era in realtà Sandro Pertini? La storia della sua gioventù lo descrive come un attivista, un ‘agitatore’ sociale sempre pronto a tenere acceso il fuoco dell’odio politico e di classe, in un’epoca già molto violenta.
Nel 1924 ebbe la condanna della pena detentiva per stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, fattispecie previste dal codice Zanardelli, (codice sabaudo, non fascista, che verrà modificato da Mussolini solo dal dicembre 1925).

Non abbastanza soddisfatto della condanna che ricevette, continuò la sua attività, sino a guadagnarsi il confino previsto dalle “leggi fasciste”.  Esiliato, rientrerà in Italia dove subirà un nuovo processo e una nuova condanna. Alla difesa in Tribunale, scelse di dare spettacolo rifiutando le lettere della madre, scritte in sua difesa.
Ma è dopo il carcere che Pertini sfoggio’ il “meglio” di sé.
Prese parte alla resistenza, raggiungendo i vertici del C.L.N. . Alla testa dei suoi uomini provocò un’ondata di sangue… Condanne capitali, (più di quelle decise a seguito della reintroduzione della pena di morte durante il periodo fascista), esecuzioni sommarie ed eccidi.
Da ricordare poi via Rasella, che Pertini non fece nulla per evitare. Su quei fatti dichiaro’:

“Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L’azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L’ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d’accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola» . Insomma, che importa se si trattavano di poliziotti tornati da un addestramento e, come tali, probabilmente male armati, se non completamente disarmati. L’importante era uccidere, sterminare”. 

Visto che non bastava, conferì a Bentivegna, (l’autore dell’attentato), la medaglia d’oro al valor militare.
L’atrocità e l’assurdità della scelta fu sottolineata dalla reazione che provocò in Giuseppe Palumbo, generale della Folgore, rimasto fedele al Re dopo l’8 settembre. Quando seppe della consegna della medaglia a Bentivegna, Palumbo restituì al presidente tutte le sue medaglie (ed erano molte). Evidentemente, essere accomunato a certi criminali gli recava offesa…
Nel ‘caso’ Pertini, però, alle atrocità d’armi si unirono quelle civili. Appena fu eletto Presidente, nel 1978, “concesse la grazia a Mario Toffanin, nome di ‘battaglia’ «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, alleandosi con lui, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per quel crimine avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale di fatto, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata ‘legge Mosca’, elargiva persino la pensione.
La cosa che crea più sdegno, tuttavia, è senz’altro le vicende legate alle Foibe. Il silenzio di Pertini fu a dir poco vergognoso e connivente. Mentre migliaia di Italiani cadevano, vittime della ferocia comunista, lui contribuiva a sostenere il muro dell’omertà e la congiura del silenzio. E pensare che, (come denunciato più volte dall’encomiabile prof. Marco Pirina), il governo di quegli anni, oltre a ricevere Tito a Roma, pagava milioni di lire perché la Jugoslavia trattenesse nelle sue galere i nostri prigionieri. Addirittura, lo Stato Italiano eroga tutt’oggi la pensione, con reversibilità del 100%, agli esecutori materiali degli “infoibamenti”.
Allora perchè Pertini, (né nessun altro di quelli che l’hanno preceduto), non fece parola di tutto ciò? Semplice: era un socialista di sinistra ed un acceso antifascista; evidentemente condivideva l’operato slavo. Ipotesi che viene avvalorata da ciò che Pertini fu capace di fare durante il funerale del Maresciallo Tito: partecipare in maniera assolutamente commossa, arrivando a baciare il feretro del boia di migliaia di Italiani e la bandiera slava, sotto la quale essi erano stati massacrati.
Una triste verità

Ecco un articolo tratto da “La stanza di Montanelli”. Riteniamo sia un’autentica chicca che dimostra, ancora una volta, l’assoluta faziosità e la leggerezza con cui si insegna la storia in Italia. Buona lettura e buona riflessione.



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Pertini? Sono altri i grandi d’Italia
Caro Montanelli, Rilevo con disappunto come la figura di Sandro Pertini sia stata rimossa dalla memoria degli italiani e dei loro degni rappresentanti politici. Solo il Corriere, se non sbaglio, gli ha dedicato ultimamente un servizio su Sette. Perche’ tutto ciò? Vorrei da lei inoltre un giudizio su quest’uomo che personalmente stimo degno di ben altra considerazione. Fabio Mazzacane, Pistoia
Caro Mazzacane, Lei ha bussato alla porta sbagliata. Dalla memoria degl’italiani sono stati rimossi gli Einaudi, i De Gasperi, i Saragat, i La Malfa, i Vanoni, che nella politica del nostro Paese hanno contato molto più di Pertini. Il quale fu certamente un uomo onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime). Ma le stesse qualità si possono attribuire anche a coloro che ho nominato e che vi aggiungevano quella di una sagacia politica, di cui Pertini fu sempre sprovvisto. Nel suo stesso partito non esercitava alcun peso, era considerato un “compagno” di tutto affidamento, ma bizzarro, imprevedibile e sempre pronto a qualche colpo di teatro. Nenni, che gli voleva bene, mi disse una volta: “Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l’ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza. C’era anche Sandro. Lui, l’unica cosa che leggeva era «L’Intrepido».

Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani. Alle nostre discussioni sul futuro dell’Italia e del partito non partecipava quasi mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella”. Lei mi chiederà come fece un uomo cosiì sprovveduto a diventare Presidente della Repubblica. Lo diventò appunto perché era sprovveduto, e come tale forniva buone garanzie di non interferenza agli uomini del potere vero, totalmente in mano ai partiti. Quello che forse nessuno aveva previsto, ma che si rivelò un particolare del tutto innocuo, era il suo demagogismo. Pertini aveva il fiuto del pubblico, e ne secondava alla perfezione tutti i vizi e vezzi. Dal video ogni tanto pronunziava terribili requisitorie contro la classe politica, come se lui non vi avesse mai appartenuto, come fece al momento del terremoto dell’Irpinia, quando accusò il parlamento di avere bocciato i disegni di legge per le misure di difesa in caso di emergenza, dimenticandosi che il Presidente della Camera che li aveva respinti era stato lui. Non perdeva occasione di dare spettacolo seguendo in lacrime tutti i funerali, baciando tombe di bambini, e insomma toccando sempre quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili. I suoi alluvionali discorsi di Capodanno erano autentiche sceneggiate. Ma in sette anni di Presidenza, di sostanziale e sostanzioso fece poco o nulla.

Della corruzione che dilagava o non si accorse, o preferì non accorgersi. Comunque, un segno del suo passaggio al Quirinale non mi sembra che lo abbia lasciato. Ce lo ricordiamo come un brav’uomo pittoresco e un po’ folcloristico, che seppe far credere alla gente di essere un “diverso” dagli uomini politici, mentre invece era sempre stato uno di loro e non aveva mai vissuto d’altro che di politica. Non c’e’ da vergognarsi di avere avuto un Presidente come Pertini. Ma non vedo cosa ci sia da ricordarne…

UNA CITAZIONE AUTENTICA DI PERTINI, APPARSA SU “L’AVANTI” 

“Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. […] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura… Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto”. Pertini non ha mai ritrattato, neanche dopo aver saputo degli atroci crimini di Stalin. A voi ogni ulteriore considerazione.

Dimenticate tutto quello che vi hanno sempre detto e informatevi, leggete, studiate, andate in fondo alle cose, anche se a volte ne possono trapelare verità scomode, esattamente come questa.

A voi lettori, le doverose conclusioni.

Articolo: Roberto Marzola

Fonte: http://ritornoallatradizione.blogspot.it/2011/05/pertini-piccolo-uomo-grande-impostore.html